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Messico, Barranca del Cobre: la linea ferroviaria Chihuahua-Los Mochis

La struggente linea ferroviaria che collegando Chihuahua a Los Mochis attraversa il Barranca del Cobre, culla degli indios Tarahumaras.

Decido di prendere il treno di seconda classe per arrivare a Creel, nel cuore della Barranca del Cobre, per stare in mezzo alla gente, al popolo. Non ci sono turisti su queste carrozze, che sono attirati dall’altro treno, fatto con vetrate per poter vedere il panorama di questa incredibile linea ferroviaria che arriva da Chihuahua a Los Mochis attraversando interminabili Cañon con 86 gallerie e 39 ponti. Le carrozze sono gremite di gente per le vacanze della semana santa e il viaggio assume i contorni di una festa: c’è chi suona la chitarra, chi si scambia il cibo, chi canta… Creel è un piccolo paese di montagna che sembra fuori luogo, ricorda quasi la Svizzera. Alloggio al secondo piano di una capanna di legno con il tetto spiovente, per salire c’è una scala a pioli. Faccio subito amicizia con dei ragazzi messicani e trascorro i giorni seguenti con loro. Visitiamo diverse località del Barranca del Cobre: ci spostiamo in autostop, tornando la sera nella nostra casetta di legno. Visitiamo cascate, acque termali, laghi e rocce dalla forma stranissima. Il Divisadero è un punto panoramico mozzafiato, da qui si riesce a capire veramente l’immensità dei cañon della Barranca. I Tarahumara sono i veri abitanti di questi luoghi, e grazie a queste profonde fenditure della crosta terrestre hanno saputo resistere alla colonizzazione “culturale” dei bianchi. Questo popolo è magico e vive avvolto nella filosofia. Questo particolarità ha attirato negli anni trenta, lo scrittore-attore francese Antonin Artaud, che visse in una comunità Tarahumara per quasi due anni. Al ritorno in Francia, prima di essere internato in un manicomio, scrisse in un libro l’incredibile testimonianza di questo viaggio: “…Dalla filosofia i Tarahumara sono ossessionati; e sono ossessionati fino a una sorta di stregoneria fisiologica; in loro non vi è un gesto perduto, un gesto che non abbia un senso filosofico diretto. I Tarahumara diventano filosofi, assolutamente, come un bambino cresce e si fa uomo; sono filosofi dalla nascita...” Passeggiando nei boschi sentiamo gli echi dei tamburi dei Tarahumara, che richiamano gli indios per la festa della settimana santa presso le missioni. La notte di Pasqua decidiamo di andare ad assistere ad una festa Tarahumara. Manca più di un chilometro alla missione e più ci avviciniamo e più sale dalla terra un suono innaturale che irrompe nella notte. Arrivati nei pressi di un dosso, scorgiamo 4 enormi fuochi disposti a croce lungo i 4 punti cardinali, al centro le mura di una piccola chiesa pulsano di luce rossa. Avvicinandoci sempre di più il suono diventa ipnotico, fino a che distinguiamo decine di tamburi che suonano in maniera autonoma senza seguire una logica musicale, quasi in uno stato di trance. Il gruppo di indios segue un percorso ad anello, fermandosi solo in prossimità dei fuochi dove sostano per qualche minuto: i tamburi si fermeranno solo all’alba, ancora oggi, a volte sento quei suoni rimbombarmi nella testa. Vado a vedere la chiesa. L’interno è completamente vuoto, non ci sono sedie, mobili, confessionali, solo la presenza di una croce restituisce al luogo la parvenza di essere una chiesa, nel pavimento la presenza di tantissimi aghi di pino inondano la sala di un profumo vivo. Questo luogo rimane per tutta la sera isolato dall’attenzione dei Tarahumara, forse qualcuno pensava che costruendo questo edificio, gli indios sarebbero stati convertiti. Invece, loro preferiscono l’esterno, il contatto diretto con il cielo e gli astri, lasciando a questo luogo di culto la funzione di scenografia, una farsa quinta sul teatro filosofico dei Tarahumara. Dopo una settimana trascorsa tra questi luoghi magici riprendo il treno per Los Mochis…

Autore: Sandro Capobianchi - www.fuggire.it
Il: 08/12/2004
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