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Bogotà – 10-12 dicembre 2006

Diario di un breve soggiorno effettuato nella capitale colombiana sul finire del 2006

Bogotà. Ci sono giunto il 10 dicembre 2006, verso le dieci di sera, dopo un viaggio da Milano con scalo a Miami, di cui ricordo poco. Deve essere stato un viaggio mediamente comodo, quindi.
Ho recuperato i miei bagagli, uno zaino grande, anche se non pienissimo e sono uscito dall’aeroporto. All’uscita, nonostante l’ora tarda, c’era molta gente che attendeva parenti, amici o colleghi d’affari. Alcuni esponevano dei cartelli con scritto Mr. Cox, Luisa, Tìo Felipe, Amigos de Charlie o Hotel Las Palmeras; e molti altri erano tassisti, pronti ad accompagnare in città i nuovi arrivati.
La città. Troppo grande per descriverla. Basti ricordare che si trova a quasi 2.600 metri di altitudine, una misura sufficiente a dare il capogiro, senza tradire il vero significato della parola. Ho la fortuna di tollerare agevolmente i cambiamenti di altitudine, e pertanto il disorientamento, accompagnato a mal di testa ed equilibrio instabile, sono per me disturbi lievi e temporanei.
Costeggio l’aeroporto e mi dirigo al reparto partenze, dove si trovano i bancomat, informazione questa ricevuta da un cortese signore su mia specifica richiesta. L’area partenze dell’aeroporto è già vuota, probabilmente il mio volo era l’ultimo della giornata. Un tizio mi si affianca, offrendomi un taxi per Bogotà; rifiuto cortesemente, lui comprende che cerco un bancomat e mi accompagna, tenendosi a distanza. Raggiungo le postazioni self service e un po’ frastornato dal lungo viaggio (16 ore?, non ricordo con precisione) prelevo 300.000 pesos colombiani, corrispondenti all’incirca a 100 euro.
Il tizio mi accompagna all’uscita e, percependo la mia circospezione, insiste garbatamente nell’offrirmi un taxi per Bogota’. A quel punto acconsento all’offerta del passaggio e, una volta usciti dall’area partenze dell’aeroporto, il procacciatore contatta un tassista il quale per 8 dollari (ma ne avrebbe voluti 10; nonostante la stanchezza sono gia’ pronto a negoziare ogni cosa) carica il mio zaino nel bagagliaio e si appronta ad accompagnarmi nel centro cittadino. Dopo aver riscosso la sua quota per l’intermediazione, mi avvicino al mio primo interlocutore colombiano, lo saluto, e mi scuso per la mancanza di fiducia sino a quel momento accordatagli. Accenna un gesto di comprensione chinando il capo in maniera evasiva, e si allontana in cerca di nuovi clienti.
Lungo il tragitto, il tassista mi parla della fama di cui godono i colombiani di gente poco raccomandabile; trovo alquanto stucchevole l’argomento, adducendo che anche in Italia si ragiona troppo spesso per luoghi comuni.
Attraversando la avenida El Dorado, passiamo sotto un viadotto dove deambulano un paio di barboni, pericolosamente noncuranti del traffico automobilistico.
Sono diretto all’Hostal Platypus, ultraraccomandato su internet, e pure dalla guida Lonely Planet, che si trova a metà di una stretta stradina in salita nel centro storico, precisamente ai margini del quartiere de La Candelaria. Le vie del centro sono poco illuminate e a quest’ora della notte (sono passate le 23) non c’è in giro nessuno.
Dopo circa venti minuti di strada, il tassista mi lascia all’uscio del Platypus. L’incaricato della gestione mi accoglie con cortesia e mi accomoda in una stanzetta con letto matrimoniale senza bagno e con pavimento formato da sconnesse assi di legno; la porta di accesso e’ a vetri e tenuta chiusa da un curiosa quanto poco pratica serratura, da assicurare con un banalissimo lucchetto; il costo è di 25.000 pesos, inclusa una bottiglia di birra Aguila offerta dal gestore come benvenuto.
A 2.600 metri di altezza, a mezzanotte, fa abbastanza fresco. Una doccia e mi rinchiudo velocemente in camera, dove per mezzanotte già tasto il materasso, le lenzuola e le coperte della mia prima dimora colombiana. Prima di addormentarmi, faccio in tempo a calcolare che sono trascorse esattamente 24 ore dal mio risveglio milanese, il giorno della partenza.

Malgrado il cambio di ambiente, di clima, di orario e di letto, la notte ha avuto lo sperato effetto riparatore della stanchezza derivante dal lungo viaggio.
Mi sono alzato verso le 7 del mattino e dopo le canoniche operazioni di pulizia personale, ero già per strada, desideroso di vedere la città alla luce del sole. Macché sole, il cielo è grigio, nuvole alte e dense cancellano qualsiasi macchia d’azzurro.
Scendo la via dell’hostal e mi ritrovo al principio del Parque de los Periodistas, un ampio piazzale che costituisce un importante crocevia del traffico mattutino.
All’angolo c’è una panetteria da cui fuoriesce un invitante profumo di prodotti da forno; all’interno vi sono dei tavolini gialli. Mi dico, è giunta l’ora di fare colazione. Caffè con latte, servito in una piccola tazza da tè, con dentro una cannuccia, al posto del cucchiaino. Accompagno la bevanda con dolci e pane e trascorro nel locale una mezz’ora abbondante. Nel frattempo esce il sole, e io faccio altrettanto dalla panetteria, prendendo la direzione del centro storico. Percorro la avenida Jimenez de Quesada, pavimentata con mattoni rossi e dedicata esclusivamente al traffico della Transmilenio, un filobus a percorrenza molto frequente che collega la città in lungo e in largo, considerato il vanto della capitale colombiana.
Prima di giungere nella piazza centrale, indugio per le vie adiacenti, sede di molte attività commerciali: c’è la via dei librai, quella dei venditori di tessuti, e quella dove affittano telefoni cellulari. Proprio così, ad ogni angolo della via, ma in realtà anche in altri posti della città, si trovano persone che offrono chiamate a cellulari a tariffe competitive, ovvero tra i 300 ed i 400 pesos al minuto (all’incirca 10 – 15 centesimi di euro).
Divagando ulteriormente per le vie del centro, percorrendo la traversale avenida Jiménez de Quesada, giungo nella plazoleta del Rosario, ove ha sede un grande mercato all’aperto e, prendendo a destra la carrera 7, visito la bella chiesa La Tercera, al cui interno sono custodite delle tavole di legno dedicate ad altrettanti santi, poste sulle pareti laterali della basilica; avvicinandomi all’altare, mi colpisce la grande tavola di legno intarsiato che copre tutta la parete centrale.
A lato della chiesa de La Tercera, si trovano la chiesa de La Veracruz e la chiesa di San Francesco, quest’ultima aperta sulla strada trafficata, e nota per conservare una preziosa pala di legno dorato che abbellisce l’altare.
Finalmente mi sono diretto al centro di Bogota’, attraversando la carrera 7 e giungendo proprio in piazza de Bolivar, ove si trova la grande Cattedrale, con a lato la Cappella del Sagrario e l’Arcivescovado. Sempre nella piazza, vi sono il Capitolio Nacional, il Palacio Lièvano, sede del Comune e l’imponente quanto austero Palazzo di Giustizia.
All’ufficio turistico di Bogota’, che ha sede nella medesima piazza, ho avuto in omaggio la cartina della citta’, prezioso riferimento per muoversi in tutta la megalopoli colombiana; inoltre, la gentile impiegata, mi ha fornito le indicazioni per recarmi alla libreria latinoamericana dove, per 15.000 pesos, ho acquistato alcune cartine stradali della Colombia.
Dalla piazza, all’estremita’ destra della cattedrale, si apre uno scorcio molto bello: si tratta della piazzetta Camilo Torres, contornata sullo sfondo dal bel campanile della Chiesa di Sant’Ignazio. Nel frattempo il cielo continua a fornire qualche raggio di sole, molto intenso a queste latitudini ed altezze.
Approfitto del bel tempo per prendere le strette viuzze che partono alle spalle della Cattedrale e che salgono alle pendici del cerro de Nuestra Señora de Guadalupe che, con il Cerro de Monserrate costituiscono la naturale barriera meridionale del centro storico. A lato di tali strade vi sono delle casette basse dai tetti di argilla e dalle pareti colorate a tinte accese. Qui hanno sede alcuni ostelli, ristoranti nonché botteghe artigianali ed atelier d’arte.
Nel primo pomeriggio, dopo aver mangiucchiato vari cibi locali per strada (in particolare, i saporiti buñuelos, ovvero delle palle di pasta e formaggio), sono ritornato all’hostal per riposare un poco. Proprio in quei minuti il cielo tornava a chiudersi, e sulla citta’ si è rovesciato uno scroscio d’acqua per una mezz’ora abbondante. Per fortuna io ero gia’ sotto le coperte…
A meta’ pomeriggio, passato il fortunale, ho ripreso l’uscio dell’hostal, per recarmi a visitare la bella chiesa de La Candelaria, che da’ il nome all’intero quartiere storico di Bogota’. Qui faccio la conoscenza di Cesar, guardia in servizio proprio all’interno del luogo di culto, il quale, mi descrive ogni singolo particolare della chiesa con la competenza di un esperto d’arte religiosa; mi racconta che, nel corso degli anni si è appassionato a questo monumento e che per questo motivo ha cominciato a studiarne ogni aspetto. Conversiamo per un’oretta e poi ci salutiamo come buoni amici.
Al tramonto ritorno in Piazza Bolivar, scatto alcune foto e osservo la gente che esce dal lavoro, i bimbi che giocano nel castello colorato di azzurro allestito al centro della piazza, una tensostruttura di metallo foderato di tela colorata ed illuminato all’interno da suggestive luci multicolori.
Poi cerco un posto dove cenare, nei pressi dell’hostal e trovo unicamente un locale che fa arepas, delle frittelle di mais; mi siedo all’interno e mangio delle pessime arepas mezze bruciacchiate e mi bevo una dolcissima bevanda Postobon, al gusto di fragola.
Insoddisfatto, cerco un altro posto per completare la cena e non ricordo bene se sono riuscito a placare altrove l’insoddisfazione del gusto e dello stomaco.
La seconda notte al Platypus la trascorro in una camera comune (qui le chiamano dormitori) composta da due letti a castello, perché l’esclusiva doppia con bagno che ho occupato la notte precedente era già prenotata. Costo per notte della camera condivisa 14.000 pesos, peraltro occupata solamente da un'altra persona.

La sveglia alle sette del mattino. Sistemo le mie cose nello zaino e lascio il Platypus, Hostal tanto economico quanto sporco, frequentato quasi esclusivamente da turisti anglofoni e comunque mochileros, che vorrebbe dire con zaino in spalla. Sarà pure il luogo ideale per scambiarsi informazioni ed impressioni di viaggio, come segnalato quasi universalmente, ma non rappresenta il luogo ideale per i miei soggiorni.
Dopo aver fatto colazione, mi dirigo direttamente al Museo del Oro, che apre alle 10. Una leggera pioggia scende sulla citta’, mentre attendo che apra il piu’ famoso museo di Bogota’. Tanto famoso, ma carente sul piano organizativo: infatti, non dispone di un deposito bagagli e pertanto, dopo aver pagato 2.600 pesos del biglietto d’ingresso, mi accingo a visitare la struttura museale, composta da tre piani, con il dolce peso del mio zaino in spalla.
Il museo è molto interessante, anche se le didascalie sono un po’ troppo essenziali e le cartine poco intelligibili.
Ad ogni modo, sono esposti reperti in oro, pietra, ceramica, ossa e conchiglia derivanti dalle principale culture precolombiane stabilitesi in Colombia: Nariño, Tolima, Tumaco, Quimbaya, Cauca, Tayrona, Urabà, Muisca, Calima, Tierradentro e Zenù. Di particolare interesse vi è la balsa muisca, una imbarcazione piatta, al pari di una moderna chiatta, custodita all’ultimo piano del museo, in un vano dalle pareti in nere ed illuminata da una tenue luce, al punto da rendere l’ambiente molto suggestivo. L’oggetto, in oro massiccio, misura poco meno di 20 centimetri di lunghezza ed ospita il sommo governatore accompagnato da dieci funzionari, tutti ritti in piedi ed adornati con paramenti da cerimonia.
All’uscita del Museo raggiungo la carrera 7 e prendo un taxi al volo che per 8.000 pesos mi porta alla terminal urbana degli autobus, che si trova a circa mezz’ora dal centro. Durante il tragitto in taxi posso constatare direttamente le grandi dimensioni di questa citta’.
All’ingresso della stazione vengo subito perquisito con molto garbo da un giovane poliziotto e alle 11 prendo un autobus della compagnia Libertador per Tunja (13.000 pesos), verso il nord del paese.

Autore: riccardo
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Il: 23/08/2007
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