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Il ladrone

L’opera dello scrittore guatemalteco Miguel Angel Asturias descrive la conquista delle Ande verdi da parte delle truppe spagnole in Centro America

Il grande autore, nato a Città del Guatemala nel 1899, ha lasciato uno dei più bei romanzi epici dell’era moderna, Maladrón, tradotto in italiano con il titolo de Il ladrone.
La vicenda si svolge in mesoamerica, nel periodo della conquista coloniale.
La popolazione indigena dei Mam, guidati dal valoroso capo Mam dei Mam, affronta i conquistatori, che procedono a cavallo ed in possesso della micidiale arma da fuoco, servendosi di armi rudimentali quali dardi e pietre.
Ciò che avviene è lo scontro, non solo fisico, di due distinte civiltà: quella delle brigate spagnole, guidate dal desiderio di conoscenza e di conquista e quelle indigene, ispirate dal culto delle divinità locali e dall’osservanza a riti magici.
Il conflitto non si svolge ad armi pari e ben presto si intuisce quale sarà l’epilogo di tale contesa; l’esito finale sembra averlo intuito anche il capo della tribù, il Mam dei Mam, il quale, disattendendo i consigli del suo fido combattente Chinabul Gemá, non accetta di affrontare i conquistatori intraprendendo la guerriglia senza quartiere, ma persevera nell’affrontare viso a viso le potenti truppe coloniali.
Durante uno di questi scontri frontali, il guerriero e consigliere militare perisce e solo a seguito di tale perdita il Mam dei Mam dispone le proprie unità sull’orlo di un dirupo, con l’intento di scagliare grosse pietre in basso, proprio contro le truppe conquistatrici. L’operazione risulta essere risolutiva; tuttavia, un indigeno aveva informato gli spagnoli della pericolosa trappola e questi si erano tempestivamente ritirati, lasciando l’avanguardia alle associate falangi indigene.
Quando il Mam dei Mam si rende conto che le vittime della potente imboscata sono unicamente i fratelli indigeni, definiti la carne di mais, sospende la mattanza e si ritira nelle proprie terre. “dove sotto i rotolanti macigni morivano uomini della nostra stessa razza, carne di mais condotta con la forza o con l’inganno al campo della morte fiorita”.
Per queste scelte, considerate contraddittorie e non finalizzate al bene della comunità, viene esautorato ed inviato all’esilio nella terra senza tempo.
La parte centrale del romanzo è incentrata sulle vicende di un gruppo di avventurieri i quali, abbandonata la schiera coloniale, intraprendono un viaggio avventuroso alla ricerca del mitico luogo ove avviene la confluenza del Mare Oceano di Spagna col mare Oceano di Cina.
Il gruppo, al quale è aggregata anche Titil-Ic, la compagna indigena di uno degli avventurieri, inizia l’edificazione di un tempio e crea una statua lignea di Gestas, il ladrone che sulla croce aveva rifiutato l'invito di Gesù Cristo a seguirlo nel regno dei cieli; tale culto, poco conosciuto nell'occidente moderno, si rivolge al dio delle cose materiali, in una sorta di delirante afflato eretico.
Gli indigeni sono invece adoratori di Cabracan, il dio dei terremoti, cui rendono omaggio con cerimonie nelle quali i devoti compiono movimenti gesticolanti del corpo con la finalità di propiziare la benevolenza della divinità.
Il contrasto tra le due civiltà è inserito in un contesto naturale di estrema bellezza, descritto dall’autore come un luogo mitico nel quale regna la dea natura e dove l’uomo si inserisce con i propri culti magici.
E appare chiaro che i luoghi incantati, come se fosse uno splendido paradiso perduto, composto da valli e colline, foreste e vulcani, popolati da animali selvaggi, sono destinati ad essere contaminati dalla civiltà dei conquistatori.
L’opera si conclude con la morte di alcuni degli avventurieri, e con essi il termine del sogno della grande scoperta geografica della congiunzione tra i due mari. Ciò che rimane è la ragazza indigena, ribattezzata Maria Trinidad, insieme al suo figlioletto frutto della relazione con uno delle vittime; in ciò sta il senso dell’opera asturiana.
La civiltà indigena, sconfitta dalla barbara devastazione inferta dai conquistatori, è destinata a perdurare grazie all’influenza che determinerà, nei secoli a venire, nella cultura coloniale.
Miguel Angel Asturias descrive l’epopea della conquista delle truppe coloniali spagnole nelle terre del centro America alla stregua di un cronista del tempo quasi ritrattasse di un Omero del centro America, dove alle gesta dei personaggi greci si sostituiscono quelle degli eroi indigeni.
Il linguaggio è nella prima parte volutamente aulico, ricercato e pieno di simbologie che rievocano riti e credenze precolombiane, mentre nella seconda parte la prosa è ricca ed elegante,a tratti quasi poetica.

Autore: riccardo
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Il: 04/08/2006
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