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La reina Isabel cantaba rancheras

Il bel romanzo dello scrittore cileno Hernan Rivera Letelier narra la vita e le miserie degli abitanti delle distese desertiche nel nord del Cile, dediti alla estrazione del salnitro

Todos los hombres que amò la Reina puta de los pobres. Questo è l'efficace sottotitolo con cui l'autore riassume, in poche parole, le vicende narrate nell'opera.
La storia si svolge a La Oficina, uno dei tantissimi insediamenti per l'estrazione del salnitro che si trovavano nelle regioni desertiche di Tarapacà e Antofagasta.
Tale polverosa struttura industriale costituisce il grande palcoscenico ove trascinano mestamente la propria esistenza una moltitudine di soggetti. Nelle officine, nella chiesa, nei miseri alloggi e nei negozi si muovono i minatori, popolo reietto, senza destino né futuro, e tantissimi altri personaggi, in massima parte vagabondi e prostitute.
La vicenda ruota intorno alla morte di una leggendaria prostituta: la reina Isabel. Colei che, nel corso degli anni, era stata la dispensatrice di affetto di una folta schiera di diseredati, ciascuno accudito e coccolato con tenera e consolatrice intimità.
Le colleghe si danno da fare per organizzare il funerale; a fronte dell’opposizione del parroco di celebrare la cerimonia funebre, le donne decidono di fare irruzione in chiesa nel bel mezzo della funzione della domenica; e così, proprio nel momento della consacrazione del vino e dell’ostia, il parroco assiste all’irruzione del corteo profano nel luogo di culto. Le donne, caricata sulle spalle la bara della reina Isabel, giungono al cospetto del curato e lo minacciano di procedere ad uno sconveniente strip tease qualora non avesse acconsentito alle loro richieste.
Così veniamo a conoscere la Ambulancia, la Chamullo, la Dos Punto Cuatro, la Malanoche e altre ancora, ciascuna tratteggiata dalla sagace penna dell'autore in maniera da farne risaltare le umane virtù e gli umani vizi, così da farcele apparire presenti e vive.
Rivera Letelier descrive le miserie della gente del posto usando talvolta la potente arma dell'ironia. Come quando narra che il medico della fabbrica, asservito alla proprietà mineraria, era soprannominato Rodrigo de Triana in quanto, al contrario del marinaio al servizio di Cristoforo Colombo, mai seppe avvistare terra nei polmoni silicotici dei propri assistiti.
O ancora, quando descrive la vicenda del "Calamina", il quale si era guadagnato tale nomignolo il giorno in cui, maneggiando una tavola ondulata di zinco, fu colto da un improvviso e potente mulinello d’aria e spiccò un volo che destò sensazione precipitando, fortunatamente senza conseguenze, sopra un mucchio di sabbia.
Attraverso la penna di Rivera Letelier, che dosa linguaggio crudo e termini ricercati, si può cogliere la straordinaria essenza dei molti personaggi che animano La Oficina, dediti a condurre la propria misera e lenta esistenza di persone epiche e ordinarie, normali e stralunate.
Come per l'Astronauta, un uomo così chiamato non soltanto per la passione per tutto ciò che riguarda la volta celeste, bensì soprattutto per l'abbigliamento ampio e trasandato, fatto di stracci avvolti a strati lungo il corpo, tanto da indurlo a camminare con le modalità lente e cadenzate tipiche di un esploratore spaziale.
O il Burro chato, ovvero l'asino schiacciato, un minorato di mente proveniente dalle zone rurali del Paese, che mendica attraverso l'area estrattiva, limitandosi ad esibire le sue smisurate doti nascoste e guadagnarsi così da bere ad ogni convito.
O, infine, quando fa raccontare a un minatore di origine boliviana, con coloriture folkloristiche, l’origine della presunta relazione inversa riguardante l’altezza delle donne e le dimensioni del proprio sesso.
Tra le molte vicende narrate, la protagonista assoluta del romanzo diviene l'epopea mineraria, incarnata nella defunta prostituta; il periodo di floridezza (per pochi) e miserie venne a cessare non tanto per l’esaurimento dei filoni minerari, bensì per l’avvento di nuove e migliori tecniche estrattive in altre parti del mondo e, soprattutto, per la scoperta di surrogati di natura chimica, i quali portarono alla attuale desolazione degli insediamenti minerari ridotti, nella maggior parte dei casi, in musei abbandonati a cielo aperto.
Il finale è struggente e pervaso da una intensa ironia al tempo stesso. Si basa sull’alternanza tra l’elegia profana sulla fine dell’epopea mineraria e la rappresentazione di un contingente momento di vita quotidiana di una delle prostitute dell’insediamento la quale, nell’ultima pagina del romanzo, riprende la propria attività istituzionale con placida indifferenza, invitando ad entrare il nuovo cliente nella propria abitazione.

Autore: riccardo
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Il: 03/07/2006
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